N. 12 – SPAZI E LUOGHI DELL’ARCHITETTURA
Roma, dal lucido razionalismo all’incerto divenire.
Fiera d’un glorioso passato, composta in uno spazio vitale ancora modesto, Roma apre le porte ai sapienti processi logici della scienza e della tecnica. Siamo tra le due guerre e la purificazione della forma architettonica introduce una differente ma non meno intensa emozione nell’osservatore. È il grande Razionalismo Italiano.
Con già alle spalle il materialismo storico e il positivismo, l’eco degli innovativi insegnamenti del Bauhaus con Walter Gropius, la percezione del cambiamento che produce l’attività di Mies van der Rohe, i principi del Vers une Architecture di Le Corbusier e perfino il Costruttivismo russo giungono in Italia e s’insediano a Milano. Nasce il Gruppo 7 per poi trasformarsi nel Movimento Italiano per l’Architettura Razionale (MIAR).
Roma non sta a guardare e, nonostante il contraccolpo inferto dal regime all’esposizione del 1931 (che provoca, a distanza di un solo anno, lo scioglimento del MIAR), vive un momento di grande innovazione urbanistica e formale. Difatti, se è vero che la corrente internazionale viene adattata alle esigenze del potere politico, è altrettanto vero che il derivato stile littorio produce architetture monumentali intense e proiezioni urbanistiche magistrali.
Nasce il Raggruppamento Architetti Moderni Italiani che, proiettato verso una nuova espressività formale in continuità con la storia, esalta la supremazia dell’Architettura Italiana. Il neoclassicismo semplificato monumentale, la metafisica e il razionalismo sembrano fondersi e Piacentini propone uno schema di architettura che sintetizza cultura ufficiale e innovazione.
Così, mentre giovani architetti – come Libera, De Renzi, Ridolfi, Samonà – disegnano edifici pubblici ispirati alle idee razionaliste e disseminati nel centro di Roma, altri architetti – Piacentini, Piccinato Pagano, Rossi e Vietta – strutturano il piano urbanistico dell’EUR.
Le opere si moltiplicano. Tra le altre, nasce il Foro Italico, vasto impianto sportivo ai piedi di Monte Mario – lo Stadio dei Marmi, lo Stadio dei Cipressi, l’Accademia di Educazione Fisica, eccetera, fino allo Stadio dei Centomila, oggi detto Olimpico – sul disegno urbanistico unitario di Enrico Del Debbio.
Roma dunque cresce, finalmente si sviluppa secondo un piano organico e geniale, procede verso il mare (verso Ostia) nell’intenzione di aprirsi al dominio geografico del Mediterraneo, già egemonia di Napoli. Ma non fa in tempo. Giunge il secondo conflitto, poi il dopoguerra, poi l’epoca dei palazzinari. Il razionalismo è prima piegato, poi annientato.
Seguono gli anni dello sviluppo urbano smodato, della nascita delle grandi e scomposte periferie. Poi il grande Giubileo del Millennio e Roma, eterna città storica, mal sopporta la massa di turisti e pellegrini. Reagisce con un atteggiamento vagamente internazionale – come nelle intenzioni del governo urbano – e si trasforma non assecondando le sue qualità, ma secondo un principio che non le appartiene. Poi giunge il fenomeno immigratorio e il relativo malgoverno (non interpretato come risorsa, ma come problema) e Roma soffre. È al collasso.
Oggi Roma è una città difficile, quasi ingovernabile, in perenne conflitto tra la gloria del passato e l’incertezza del futuro. La storia dei Piani Regolatori (di cui parlerò nel prossimo articolo), l’avvicendarsi di questi strumenti pianificatori puntualmente inadeguati, la mancanza di una coscienza collettiva formata a guardare lontano, la presunzione di conservare il ruolo di Caput Mundi solo attraverso ciò che è stato, hanno determinato un danno immenso a quella che avrebbe potuto essere la perla del mondo in eternità.
Purtroppo oggi non s’intravedono le forme del divenire urbano.