Architetti in crisi. Difendiamoci
Dopo la dolorosa panoramica che ho effettuato nell’articolo Architetti al Collasso, cerco di andare più a fondo nelle problematiche che ci attanagliano. Per questo fine, riprendo alcuni dati emersi nel corso della Conferenza Nazionale sull’Architettura (Rif. omonimo articolo) del 29 aprile scorso.
L’Italia conta 134.310 architetti, attestandosi al primo posto, per numero, in Europa. Ben 89.000 di questi esercitano la professione. Gli altri sono diversamente occupati (in uffici pubblici, per insegnamento, in azienda private, e via dicendo). Il tasso di disoccupazione degli architetti è pari al 31%. Il reddito medio dei senior è di circa 24.000 euro/anno, tra i più bassi d’Europa. Quello degli junior è di circa 9.000.
E poi: il reddito lordo, soggetto alla feroce tassazione italiana, si sminuisce vertiginosamente; gli studi di architettura più grandi ne assorbono una ragguardevole quota parte e ciò che effettivamente conforma il ricavo dei restanti è penoso. Senza contare che una media tra senior e junior – valutata approssimativamente, considerando i giovani in numero inferiore a quello degli anziani – potrebbe aggirarsi intorno ai 18.000 euro.
In Svizzera, che non ha certamente il sistema di tassazione italiano, il reddito medio degli architetti (senza differenziazione tra senior e junior) è di 54.608 euro. A Lussemburgo è di 48.000 circa.
Tornando all’Italia, rapporto il nostro reddito medio con quello di ingegneri edili e geometri, sempre in relazione ai dati dichiarati nella Conferenza Nazionale sull’Architettura. I primi, gli ingegneri edili, non se la cavano molto meglio, raggiungendo una quota annuale lorda di circa 27.000 euro. Ma, sorprendentemente (in apparenza), i geometri superano le due categorie di tecnici laureati con un reddito medio di circa 35.000 euro.
Parliamone. Indaghiamo sulle cause, oltre la delirante crisi economica internazionale e l’elevato tasso di corruzione del nostro Paese che ci vede collocati ai primi posti nel mondo.
Fin da quando ho iniziato a scrivere nel mio blog, ho posto in evidenza una questione che considero importantissima: la pessima interpretazione del ruolo dell’architetto in Italia. Ognuno che, come me, esercita la libera professione è consapevole di quanto sia difficile parlare di architettura, sia nel privato che in ambiente pubblico. Ci si scontra quotidianamente con una diffusa e insopportabile presunzione di sostituirsi all’architetto, dunque di conoscerne il mestiere. Tantoché, troppo spesso, l’architetto è chiamato per espletare i soli compiti di passacarte, senza contare la responsabilità che ogni pratica edilizia determina per il professionista. Questioni di sopravvivenza portano spesso i professionisti più deboli a essere soggiogati a un contesto che mi permetto di considerare criminale.
Più volte ho messo l’accento sul degrado culturale che investe il nostro Paese. A questo fattore attribuisco una considerevole quota parte dell’aberrante e diramata convinzione della gente di conoscere l’architettura, di poterne guidare le scelte in maniera incondizionata. Si badi, non di esprimere – com’è giusto – le proprie necessità e aspettative in senso generale, ma di entrare appieno nelle soluzioni formali, fino a determinare il massacro paesaggistico che è sotto gli occhi di tutti. E poi, c’è quella non trascurabile quota relativa all’edilizia libera, affidata a semplici comunicazioni del proprietario (un esempio sono i rifacimenti delle facciate che transitano nella sfera della manutenzione ordinaria), che hanno prodotto scempi sconsiderati. Le pubbliche amministrazioni locali sono generalmente assenti, non normano correttamente il settore, soprattutto – mi spiace dirlo – nel mezzogiorno.
L’attività degli ingegneri è, in larga parte, relazionata a quella degli architetti. Buona norma sarebbe rispettare le competenze specifiche di ognuna delle categorie e viaggiare su un binario condiviso. Non sempre accade, ma è anche vero che buona parte della produzione edilizia segue queste regole. Però è altrettanto vero che gli ingegneri affrontano questioni formali (proprie dell’architettura) più di quanto gli architetti invadano il campo strutturale. E questo è, io credo, il motivo che vede gli ingegneri lievemente avvantaggiati, in tema retributivo.
Ora vengo al punto più dolente. In un’Italia dove le competenze sono evase in maniera scorretta, ai geometri è concesso fare tanto architettura quanto ingegneria, sebbene la giurisprudenza abbia messo un punto inequivocabile sull’argomento (mi riferisco a quanto ho già argomentato nell’articolo Architettura Violata, pubblicato sul mio blog il 13 marzo scorso). Dunque la sfera d’azione di questi tecnici non laureati, quindi non formati a determinate competenze, si allarga ben oltre le specificità della loro professione (dalle pratiche catastali a quelle di misurazione e rilevazione, eccetera). In larga parte, è piuttosto difficile che un architetto o un ingegnere si addentri in pratiche del catasto (ad esempio), mentre è consuetudine che un geometra affronti progettazioni, calcolazioni e direzioni di lavori perfino di opere mediamente complesse.
Colpa delle pubbliche amministrazioni, naturalmente. Colpa della distorta applicazione di un sistema legislativo ancora poco chiaro. Colpa dell’assenza di controlli adeguati. E colpa, infine, della carenza culturale specifica che dilaga incondizionatamente.
Basti pensare che a dirigere moltissimi degli Uffici Tecnici pubblici si trovano geometri, sebbene la Sentenza della Cassazione n. 19292 del 2009 ne abbia inequivocabilmente chiarito l’ambito d’esercizio e abbia perfino stabilito che un tecnico laureato non può mai essere subordinato a un tecnico diplomato stante la sua maggiore qualifica. Una delle sfere di applicazione di questa Sentenza va individuata proprio negli Uffici Tecnici, vista la necessaria subordinazione di chi presenta una pratica edilizia da chi è deputato a valutarla. Ne deriva che nessun geometra potrebbe occupare il ruolo di dirigente di un Ufficio Tecnico. Non è forse questo un esempio eclatante di quanto lo Stato Italiano sia incapace di applicare le sue stesse leggi?
Sono convinta che noi tecnici laureati, architetti e ingegneri, dovremmo riunirci in un solo coro e costringere le Istituzioni a rispettare questa norma. Che ne pensate di una petizione?