Antonio è un tipo strano
Antonio è un tipo strano è un romanzo che ho scritto da qualche anno e non ho mai pubblicato. Ma intendo farlo presto.
E’ la storia di un’amicizia.
Guida l’intero romanzo la figura di un giovane cattolico (Nicolavich Mariotti) con qualche tendenza al puritanesimo, invaso da una strana personalità che si concreta in due differenti risvolti comportamentali: l’incredibile facilità di successo nel lavoro e l’apparente grottesca inettitudine ad affrontare la quotidianità. I sensi di colpa e del dovere che pervadono la sua esistenza e che, paradossalmente, lo aiutano nell’ottenimento del successo, per taluni versi propongono lo stereotipo dell’uomo di fede vissuto nella metà del Novecento. Tuttavia è anche un personaggio vivace, intelligente, risultato di una strana combinazione tra la rigida educazione ricevuta da sua madre russa e l’incessante desiderio di conoscenza. E’ appassionato e questo lo aiuta. Ma non è lui il vero protagonista.
Il vero protagonista (Antonio Bastioni), la cui essenza aleggia lungo tutto il corso della narrazione, esplode concretamente nel romanzo soltanto a un certo punto e in una veste inattesa.
E’ un uomo di grande spessore culturale e umano, niente affatto convenzionale e artefice consapevole di un cambiamento radicale delle proprie abitudini. La narrazione della sua storia induce a una lunga riflessione (senza sotterfugi filosofici) tra l’essere e l’apparire, tra vivere e pensare di vivere. Lui cambia repentinamente e lo fa in un modo certamente singolare, richiamando le scelte di un universo complesso e poco esplorato, di grande attualità, che la gran parte di noi umani identifica in un dramma sociale. Ma forse è solo apparente.
Da un finale che sembra dare spazio alla tragedia emerge, invece, un convinto impulso alla vita.
Per questo lavoro, ho condotto ricerche su campo, all’interno di un difficile mondo. Alcuni momenti della narrazione, apparentemente immaginari, rispondono a fatti realmente accaduti e adattati agli scopi del romanzo. Altri avvenimenti sono frutto di fantasia. Anche i personaggi, per quanto inventati, posseggono alcune componenti caratteriali e comportamentali tratte da individui realmente esistiti o esistenti.
Infine, per contestualizzare lo stile narrativo, ho utilizzato un linguaggio con qualche nota espressiva del recente passato.
Qualche piccolo brano del romanzo? Ecco:
<Antonio è un tipo strano.
Tutti dicevano: “Antonio è un tipo strano”. A me non sembrava. Un personaggio, ecco tutto. Uno dei migliori.
In verità, oggi di Antonio non parla più nessuno. O quasi. Prima, tempo fa, Antonio era sulla bocca di molta gente. Una specie di autorità, con la A maiuscola: Autorità! Un uomo invidiato per il suo successo. Così si diceva.
Io non conoscevo, allora, Antonio.
L’ho conosciuto alcuni anni fa. Quando già era un tipo di cui qualcuno diceva “è strano”. Gli altri non ne parlavano già più.
La prima volta che lo vidi, risale ad almeno nove anni fa. Fu nella sua azienda, una perla del mondo della comunicazione. La AAB S.p.A. Era un’azienda importante, famosa, e lo è ancora.
… Fui impressionato dalla sua statura: due metri, forse. Mi colpì anche il tono della sua voce: caldo e molto penetrante. Non trovai che fosse un bell’uomo. Tuttavia, statuario, interessante. Molto interessante.
…Quattro anni più tardi, era il 1960, mi trovavo seduto ad un bar, vicino Piazza della Borsa, a Milano. Era mattina e leggevo i giornali. Lavoravo ancora nella stessa società editoriale, la cui sede non era molto distante da quella Piazza.
C’era, su uno dei giornali, come spesso accadeva, un corposo articolo sulla AAB e io lo stavo attentamente leggendo. Già da qualche tempo si diceva che la grande azienda non era più quella di una volta. Era pur sempre un colosso, è vero. Però si accusavano delle carenze, il cui riscontro era evidente dalla perdita di fatturato rispetto agli anni d’oro. I giornali tentavano di imputare gli avvenimenti alla minore domanda di certi servizi sul mercato. Affermavano che, ormai, le aziende – specialmente quelle di certe dimensioni, che rappresentavano certamente il parco clienti maggiore della AAB – si facevano la comunicazione “in casa”, creavano internamente uffici per l’attività di comunicazione e di pubbliche relazioni. Affermavano che, a parte certi grandi clienti ormai da anni consolidati, la AAB non aveva potuto acquisire, negli ultimi periodi, nuove rilevanti commesse sul mercato.
Queste considerazioni non mi convincevano fino in fondo. Non mi convinceva l’idea che il mercato della comunicazione fosse in declino. Tutt’altro. La forza della AAB era di aver aperto un settore di mercato, ancora troppo riservato, in un momento storico di grande interesse per quei servizi. L’aumentare dei mezzi di comunicazione ne era la conferma. L’intuizione di Antonio Bastioni era stata geniale. Queste mie considerazioni mi sembravano assai più convincenti.
…Il pensiero mi andò immediatamente al mitico. Antonio Bastioni. Gli articoli dei quotidiani, ormai, non parlavano più di lui. Come se una specie di censura fosse calata su quel nome e su quella figura. Eppure, nessuna censura bastava a togliere dalla mia testa quel nome e quella figura. Così, io credo, anche per moltissime altre persone.
Antonio Bastioni non poteva essere dimenticato.
Si poteva non parlare di lui. Si poteva non pronunziare il suo nome. Si poteva omettere di dire che la, nonostante tutto, ancora grande AAB era una sua creatura. Ma non si poteva dimenticare Antonio Bastioni.
Qualcuno, e soltanto qualcuno, che aveva ancora il coraggio di pronunziare il suo nome, si trovava a dire “Antonio è un tipo strano”.
Io riflettevo molto su questa affermazione.
…A due tavoli di distanza era seduto un uomo dalla statura imponente, troppo evidente per non poterlo riconoscere. Antonio Bastioni. Antonio!
Mi emozionai.
Lui si alzò e venne a sedersi al mio tavolo.
La prima cosa che notai in lui fu un certo cambiamento fisico. Già, le uniche cose che me lo fecero riconoscere all’impatto furono la voce e la statura. Tutto il resto, no. Davvero.
Era appesantito. Non per dimensione, ma per aspetto. Era incurvato. Aveva una barba più lunga e incolta. Molte, molte rughe in più, sul volto. I capelli cresciuti di almeno cinque centimetri che davano la sensazione di non aver visto pettine da almeno cinque giorni.
Provai uno strano senso di malinconia che, però, fu subito sopraffatto da un’incredibile curiosità e da una decisa sensazione di piacere. Forse, anche da un egocentrico piacere. Antonio Bastioni, l’incredibile Antonio Bastioni, conosceva il mio nome. Mi conosceva.
… D’improvviso, si alzò. Disse che doveva andare. Disse che gli aveva fatto piacere rivedermi e che avrebbe avuto piacere nell’incontrarmi ancora.
Mi chiese un biglietto da visita. Glielo porsi con soddisfazione. Lui lo prese. Lo sbirciò, lo infilò nel taschino della sua giacca, mi strinse la mano e andò via dicendo che mi avrebbe cercato presto.
Lo vidi allontanarsi fino in fondo alla piazza e lo vidi sparire oltre. Osservai il suo portamento pesante e curvo. Osservai il suo abito piuttosto trasandato, forse vecchiotto. Osservai le sue scarpe, i suoi tacchi consunti, la sua trascuratezza.
Osservai meravigliato. Forse, osservai addolorato.
Se avessi incontrato un altro uomo, uno qualsiasi, con quell’aspetto e quell’abbigliamento, probabilmente non lo avrei compatito. Se mai “compatito” sia la parola adatta. Lo avrei considerato uno qualunque, per l’appunto. Uno non troppo curato, ma uno qualunque. Nel caso in questione, non si trattava di uno qualunque. In un altro momento, qualche tempo prima, Antonio Bastioni non sarebbe mai uscito in quelle condizioni. In un altro momento, sarebbe stato fermato per strada da molta gente. Qualcuno gli avrebbe perfino chiesto un autografo. Allora, invece, nonostante vi fosse molta gente in giro, nessuno sembrava più curarsi di lui. Neppure lui stesso.
E la gente, io credo, non lo riconosceva.
La sua Milano non lo riconosceva più.>
Un affettuoso grazie al mio professore di lettere del liceo, Antonio Signore, uomo di grande levatura culturale, per l’apprezzamento dimostrato verso questo mio lavoro.